Il Microbiota e il suo legame con il Dolore

Il Microbiota e il suo legame con il Dolore

Negli ultimi anni, il ruolo emergente del microbiota intestinale nella regolazione del dolore ha attirato molta attenzione.

Sebbene sia già noto che tale ecosistema gioca un ruolo importante nella funzionalità del sistema nervoso centrale e periferico, ma anche sulla comunicazione tra vari organi ed apparati, e sulla regolazione del sistema immunitario e dei processi di infiammazione, è logico chiedersi nello specifico, che ruolo possa avere nella genesi, trasmissione e percezione degli stimoli dolorifici di varia natura.

Innanzitutto, partiamo da una definizione di base:

Il dolore è definito come dalla IASP (International Association for the Study of Pain) come una “esperienza emozionale e sensoriale spiacevole associata a un danno tissutale acuto o potenziale”.

Può essere:

  • acuto: deriva, in genere, da un danno locale provocato a tessuti o ad organi. Viene percepito a causa dell’attivazione dei cosiddetti recettori periferici del dolore (nocicettori somatici e viscerali) e delle loro fibre (A-delta e C) incaricate di trasmettere le informazioni al nostro sistema nervoso centrale;
  • cronico: quando la sua durata si estende per più di tre mesi. Viene percepito per mezzo dell’attivazione persistente dei nocicettori e delle fibre nervose a causa di un danno cronico o lesione e/o disfunzione insita nel nostro tessuto nervoso. Un esempio di dolore cronico è il quello neuropatico, tipico delle alterazioni delle fibre nervose che si hanno in corso di diabete, alcolismo, HIV ad esempio.

Per quali vie passa il dolore?

Lo stimolo doloroso viene inviato al sistema nervoso centrale attraverso due “strade” chiamate:

  • Via neospinotalamica, le cui caratteristiche sono:
  • veloce trasmissione del dolore;
  • sensazione dolorifica ben localizzata;
  • trasmette anche stimoli termici.
  • Via paleospinotalamica, che possiede, anche qui, particolari caratteristiche tra cui:
  • lenta trasmissione del dolore;
  • sensazione dolorifica poco localizzata;
  • coinvolge aree del cervello legate al comportamento;
  • determina la dimensione affettivo-emozionale del dolore.

Le vie discendenti (responsabili della “risposta” allo stimolo dolorifico iniziale) operano attraverso molti neurotrasmettitori a carattere inibitorio o eccitatorio e agiscono per modulare ed in genere attenuare la percezione del dolore e le sue risposte, con due modalità:

  • Attenuando la trasmissione dello stimolo;
    oppure
  • Potenziando, e quindi eccitando, i sistemi inibitori.

Che legame c’è tra Microbiota e Dolore?

Il microbiota intestinale è coinvolto nella funzionalità del sistema nervoso, nelle abilità cognitive e nel comportamento (leggi anche i nostri articoli: “Il microbiota e il suo ruolo nelle malattie neurodegenerative” e “Depressione e ansia: scoperto un legame bidirezionale con il microbiota”); gli studi indicano anche un ruolo nella fisiopatologia del dolore acuto e cronico.

In particolare:

  • Il microbiota può modulare l’eccitabilità dei neuroni periferici in quanto i suoi metaboliti:
  • attivano i recettori del GABA (acido gamma-amminobutirrico, un neurotrasmettitore inibitorio, che “abbassa il tono” nel sistema nervoso centrale ed attenua l’attività dei neuroni);
  • attivano il sistema immunitario con rilascio di mediatori pro-infiammatori e modificano la permeabilità delle membrane cellulari, permettendo ai metaboliti di raggiungere i siti di azione;
  • A livello centrale, il microbiota è coinvolto nella modulazione dell’induzione e mantenimento della neuroinfiammazione, con rilascio di citochine e neuropeptidi eccitatori;
  • Gli acidi grassi a catena corta sono regolatori nella produzione di IL-2, IL-6 e IL-10, interleuchine coinvolte nella trasmissione del dolore;
  • La diminuzione di Bacteroides, Lactobacilli ed Enterococci, a causa di antibiotici, esalta la percezione del dolore e il trattamento con probiotici (lattobacilli e bifidobatteri) ha effetti lenitivi;
  • Il microbiota può alterare l’espressione dei recettori per gli oppioidi nel sistema nervoso centrale e dunque aumentare la sensibilità al dolore.

Per questo motivo è assolutamente importante mantenere il nostro microbiota sano.

Per farlo servono dei probiotici davvero funzionali. Più i ceppi selezionati sono coerenti con il microbiota naturalmente presente nel nostro corpo, maggiore sarà l’efficacia.

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Bibliografia:

  • Guo R et al. Pain regulation by gut microbiota: molecular mechanisms and therapeutic potential. British J of Anaesthesia 2019;123(5):637-54
  • Lin B et al. Gut microbiota regulates neuropathic pain: potential mechanisms and therapeutic strategy. The Journal of Headache and Pain 2020;21:103
  • Santoni M et al. Gut microbiota, immunity and pain. Immunology letters 2020, doi: https://doi.org/10.1016/j.imlet.2020.11.010

 

Microbiota e dieta Vegana: tutto quello che c’è da sapere

Microbiota e dieta Vegana: tutto quello che c’è da sapere

L’offerta di cibo estremamente vasta nei paesi occidentali benestanti ha permesso il fiorire di stili alimentari molto diversi tra loro, alcuni più salutari ed altri, ovviamente, meno, con ripercussioni sulla salute pubblica ormai ben conosciute.

È un fatto ormai abbastanza noto che la qualità degli alimenti, nell’ultimo secolo, si sia impoverita e che il peso medio delle persone sia aumentato in maniera preoccupante, anno dopo anno.

La crescente richiesta di prodotti alimentari, ma anche la facilità di reperire alimenti di ogni genere, alcuni anche di tradizioni e di paesi lontani (ricordiamo l’avvento dei primi fast food), ha portato anche a modificare le nostre abitudini, e non sempre la salute ne ha beneficiato.

Questo ha, di conseguenza, portato al fiorire di molte “diete”, intese come stili alimentari per motivi salutistici, ecologici, ambientalistici, etici, ecc.

Tra gli stili alimentari più “in voga” nell’ultimo decennio spicca il veganismo, una delle tante diramazioni del “vegetarianismo”.

Il vegetarianismo ha una storia antica e legata a movimenti religiosi come Induismo, Zoroastrismo, Buddismo, Taoismo.

Nell’antica Grecia, Pitagora, Epicuro e Plutarco erano vegetariani, considerando l’uccisione degli animali una crudeltà. Ancora, nel Medio Evo alcune correnti religiose come il Catarismo, rifiutavano l’idea di un’alimentazione che comprendesse carne e uova.

Il moderno vegetarianismo, invece, vede le proprie origini nel XVII secolo in Gran Bretagna, battendosi contro lo spreco alimentare ed il lusso. La sua evoluzione prosegue poi nel Settecento, sostenuta anche da molti medici del periodo, proseguendo sulla scorta dei diritti degli animali nell’Ottocento.

Nel 1847 a Ramsgate, una cittadina dell’Inghilterra, venne fondata la Vegetarian Society che ispirò prima la Germania, poi la Francia e successivamente, nella prima metà del Novecento, l’Italia a seguire il proprio esempio.

Esistono varie correnti nel vegetarianismo, avendo – questo stile alimentare – assunto, nel corso del tempo, molteplici varianti.

Ecco qui, di seguito, le principali:

  • Latto-ovo-vegetarianismo: ammette il consumo di latte e derivati, uova, miele e prodotti dell’alveare, alghe, funghi (lieviti) e batteri (fermenti lattici);
  • Latto-vegetarianismo: esclude le uova;
  • Ovo-vegetarianismo: esclude latte e derivati;
  • Veganismo: ammette solo cibi vegetali ed estende il concetto del non-sfruttamento delle risorse animali anche ad altri aspetti, per cui ad esempio non sono impiegate la lana, le pelli, la seta, e tutti i prodotti non devono contenere parti o eccipienti animali o addirittura essere stati testati su animali;
  • Crudismo vegano: consente solo cibi vegetali trattati ad una temperatura non superiore di 42°C o essiccati (frutta, verdura, cereali, legumi, semi);
  • Fruttarismo: ammette il consumo solo di frutta dolce e ortaggi con semi, escludendo radici (carote), foglie (insalata), semi (fagioli), fusti (sedano).

 

Ciò che è sicuro è che un tipo di alimentazione più naturale porta notevoli benefici all’organismo.

 

Non a caso, la dieta mediterranea resta tra gli stili alimentari consigliati pur non eliminando nessun alimento. Rappresenta un esempio di regime bilanciato, non eccessivamente proteico, equilibrato nell’apporto di zuccheri e grassi complessi e raffinati, povero di tutti quei prodotti lavorati industrialmente che, se da un lato soddisfano il nostro palato, dall’altro non si può dire giovino alla nostra salute.

Ma nel dettaglio, cosa comporta essere vegano rispetto al seguire un “normale” stile alimentare?
In che modo, questa alimentazione, riesce a sostenere la salute? E in particolare, come reagisce il nostro intestino?

Dieta vegana e Microbiota: cosa dicono gli studi?

Data la complessità di studiare il microbiota in modo estensivo, e data anche la complessità dell’analisi genica e funzionale (cioè studiare sia quali specie batteriche sono presenti al suo interno, sia tutte le funzioni biologiche che vengono svolte in diverse situazioni), gli studi portano a risultati a volte contrastanti.

Una review del 2021 ha analizzato 9 studi giudicati adeguati tra i 407 inizialmente selezionati.

I risultati indicavano che i vegani hanno un microbiota arricchito in:

  • Bacteroidetes (e nello specifico nel genere Prevotella e Lachnospira),

mentre

  • Bifidobatteri ed Enterobatteri sembrano essere diminuiti (cosi come i batteri lattici).

Un recentissimo studio del 2022 ha analizzato 62 vegani e 33 onnivori.

Gli autori hanno rilevato solo piccole differenze nel loro Microbiota (il 14,8% era diverso), dal momento che una volta instaurato durante l’infanzia, la composizione tende a rimanere stabile durante la vita.

I vegani presentavano:

  • Arricchiti i generi Lachnospira e Ruminiclostridium;
  • Impoveriti i generi Blautia e Bifidobacterium

Al contrario, la loro attività metabolica era molto differente.
I vegani, infatti, producevano:

  • Molti più metaboliti benefici (i famosi acidi grassi a catena corta, SCFAs, e i loro derivati, protettori della mucosa intestinale);
  • Meno prodotti di fermentazione degli aminoacidi e dei carboidrati (scatolo, indolo, composti aromatici, aminoacidi a catena ramificata (BCAAs)) potenzialmente dannosi in termini ad esempio di stress ossidativo.

 

I dati sembrano confermare la versatilità funzionale del microbiota che, seppur cambia poco in sostanza, di fatto dà la precedenza a quelle specie e soprattutto a quei processi che meglio si adattano ai substrati nutritivi che gli sono forniti.

I vegani introducono bassi livelli di proteine e, pertanto, la fonte primaria di energia sono i carboidrati; il microbiota si organizza, di conseguenza, in tal senso.

È chiaro che il campo offre ancora molti spunti e molto lavoro.

Al di là delle scelte personali sullo stile alimentare da seguire, il microbiota si conferma comunque importante per il benessere dell’organismo e va salvaguardato.

In: Sakkas 2020

Possiamo aiutare il microbiota intestinale a lavorare correttamente, e per farlo servono dei probiotici davvero funzionali. Più i ceppi selezionati sono coerenti con il microbiota naturalmente presente nel nostro corpo, maggiore sarà l’efficacia.

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Una formulazione che contiene ben 9 ceppi batterici con mappa genetica depositata presso l’EFSA, capaci di attraversare l’intestino – grazie alle capsule gastroresistenti con le quali viene realizzato il prodotto – e di colonizzare la mucosa intestinale.

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Bibliografia:

  • Losno EA et al. Vegan diet and the gut microbiota composition in healthy adults. Nutrients 2021;13:2402
  • Prochazkova M et al. Vegan diet is associated with favorable effects on the metabolic performance of intestinal microbiota: a cross-sectional multi-omics study. Frontiers in Nutrition 2022;8:Article 783302
  • Sakkas H et al. Nutritional status and the influence of the vegan diet on the gut microbiota and human health. Medicina 2020;56:88

 

Sport: alleato o nemico del Microbiota?

Sport: alleato o nemico del Microbiota?

Dati i numerosi e comprovati studi sul tema, è ormai chiaro a tutta la comunità scientifica quanto sia importante il microbiota (per ulteriori informazioni, leggi anche => Cos’è il microbiota?) per la salute del nostro corpo, e cioè quella vastissima comunità di microrganismi, soprattutto batteri, ma anche virus e funghi, che colonizza l’organismo (in particolar modo a livello intestinale).

È ormai chiaro che tutti i benefici sono bidirezionali: noi proteggiamo e nutriamo il microbiota mentre quest’ultimo vigila su molti altri aspetti.

In particolare, il microbiota assume due funzioni distinte:

  • La prima, di tipo locale, tramite la quale favorisce la tutela e la protezione della mucosa intestinale. Mantenendo l’integrità della mucosa, si occupa di regolare la permeabilità, limitando l’assorbimento di sostanze nocive e tossine. Si occupa inoltre della sintesi di vitamine (B12, K) e di acidi grassi a catena corta (SCFAs), e crea una barriera/difesa contro i patogeni.
  • La seconda, di tipo generale, consiste nella vigilanza ed il controllo sul – ed – a fianco del sistema immunitario.

Il microbiota può quindi essere definito come un organismo nell’organismo che, come ogni essere vivente, ha un proprio ciclo di vita: cambia, invecchia, si ammala (un fenomeno chiamato “disbiosi”), interagisce con l’ambiente esterno (alimentazione, farmaci, ecc) e comunica tutto questo all’organismo. Il suo scopo è quindi quello di difendersi, e così facendo, di conseguenza, ci difende.

Che legame c’è tra Sport e Microbiota?

Si è sempre studiato il microbiota cercando una relazione con molte malattie, ma negli ultimi anni la comunità scientifica si è chiesta se ci sia o meno una diretta correlazione con lo sport e con tutte quelle altre attività che aumentano il benessere e che si praticano in salute.

Nello specifico, sono due le domande alle quali vogliamo rispondere in questo articolo:

1) Lo sport fa bene al microbiota?

2) Il microbiota influisce sulle prestazioni sportive? E se la risposta è si, quanto?

Secondo gli ultimi studi sul tema, sembra che l’attività sportiva migliori la composizione del microbiota.

In particolare, si è visto come passare dalla sedentarietà (anche con qualche acciacco come il diabete), alla pratica sportiva non agonistica offra i seguenti benefici:

  • Aumento dei Bacteroidetes
  • Aumento dei generi Faecalibacterium, Akkermansia e Veillonella
  • Aumento della produzione di SCFAs (acidi grassi a catena corta);
  • Diminuzione degli gli indici di infiammazione a livello intestinale;
  • Diminuzione dei generi Clostridium e Blautia.

Gli atleti agonisti possiedono invece un microbiota diverso da chi pratica sport in modo amatoriale, il tutto in virtù dello stile di vita, dell’alimentazione e della particolare composizione corporea. Pertanto, in loro sono più abbondanti i microrganismi legati al metabolismo energetico e quelli utilizzatori di acido lattico.

In generale, comunque, l’esercizio fisico cambia il microbiota, stimolando la proliferazione di batteri implicati nella modulazione del sistema immunitario, migliorando anche la salute della mucosa intestinale e la produzione di sostanze protettive.

In Marttinen 2020

In: Marttinen 2020

Sono invece ancora pochi gli studi circa l’effetto del microbiota sulle prestazioni, ma qualche piccola esperienza sul campo clinico indicherebbe che il trapianto del microbiota da atleti e l’assunzione di probiotici potrebbero migliorare la performance, la capacità di allenamento ed il recupero.

Sono stati esaminati soprattutto Lattobacilli e Bifidobatteri, notando risultati molto incoraggianti su nuotatori, runners e maratoneti, ciclisti e sportivi amatoriali.

Un microbiota sano come quello di un atleta ha una migliore capacità di metabolizzare zuccheri, acido lattico ed aminoacidi, e quindi di utilizzare le fonti energetiche e plastiche degli alimenti, ma anche fortificare in generale l’organismo.

In: Marttinen 2020

In: Marttinen 2020

In realtà è un mutuo scambio, un legame tra organismo ospite (noi) ed organismo ospitato (microbiota) talmente indissolubile che non si ha mai un netto punto di inizio.

Proprio in virtù di questo così stretto quanto forte legame, risulta di estremamente importanza prendersi cura del proprio microbiota includendo lo sport all’interno della nostra routine quotidiana.


Dr.ssa Federica Puccini

BIBLIOGRAFIA:

  • Donati-Zeppa S et al. Mutual interactions among exercise, sport supplements and microbiota. Nutrients 2020;12:17
  • Marttinen M et al. Gut microbiota, probiotics and physical performance in athletes and physically active individuals. Nutrients 2020;12:1936
  • Mohr AE et al. The athletic gut microbiota. J Int Society of Sports Nutrition 2020;17:24
  • Motiani KK et al. Exercise training modulates gut microbiota profile and improves endotoxiemia. Med Sci Sport Exerc 2020;52(1):94-104
Il Microbiota intestinale e l’ipotesi di un legame con la Psoriasi

Il Microbiota intestinale e l’ipotesi di un legame con la Psoriasi

La PSORIASI è una malattia infiammatoria cronica della cute superficiale (detta epidermide) e di quella profonda (che prende il nome di derma).
È caratterizzata da iperproliferazione (crescita smisurata) dei cheratinociti, ovvero le cellule più abbondanti nell’epidermide.

Questa patologia si manifesta con papule e placche rilevate circoscritte, arrossate e ricoperte da squame argentee, talora con prurito.

Le aree tipicamente colpite sono:

– gomiti
– ginocchia,
– solco intergluteo,
– genitali.

Poiché esistono varie manifestazioni della psoriasi, può capitare che alcuni soggetti sviluppino anche sintomi articolari (come avviene nell’artrite psoriasica).

Quante tipologie di psoriasi esistono?

Le zone colpite possono essere diverse e caratterizzate da manifestazioni e sintomi differenti, a seconda del tipo di psoriasi che il soggetto ha sviluppato.

Si possono così distinguere:

  • PSORIASI A PLACCHE O PSORIASI VOLGARE: nel 90% dei casi è caratterizzata da lesioni tipiche e un andamento cronico-recidivante.
  • PSORIASI INVERSA: si sviluppa soprattutto nelle aree intertriginose (solco ascellare, sottomammario, retroauricolare, balanico) con formazione di ragadi e talora assenza di squame.
  • PSORIASI UNGUEALE: sulle unghie sono visibili delle depressioni puntiformi e/o striature longitudinali e trasversali, ma si possono notare anche anomalie di colorazione ed ispessimento. Può simulare una micosi.
  • PSORIASI GUTTATA: comparsa improvvisa di placche intorno al centimetro sul tronco, tipica di bambini e giovani dopo una faringite da streptococco. Spesso si può risolvere con guarigione definitiva, ma può evolvere anche nella forma a placche.
  • PSORIASI ERITRODERMICA: è caratterizzata da un eritema diffuso e desquamante. Si tratta di una forma grave di psoriasi, perché comporta la perdita delle proprietà di barriera e una ridotta capacità di termoregolazione su ampie aree cutanee.
  • PSORIASI PALMOPLANTARE: in questo caso le placche sono localizzate sul palmo della mano o sulla pianta del piede e tendono a confluire tra loro.
  • PSORIASI PUSTOLOSA: A sua volta si distingue in una forma generalizzata, che diventa grave se non trattata e può dare anche complicanze cardiache fatali, e una forma palmoplantare, meno grave ma comunque dolorosa e invalidante.
  • ARTRITE PSORIASICA: colpisce soprattutto le piccole articolazioni di mani e piedi o le ginocchia e può arrivare a peggiorare fino alla comparsa di fenomeni erosivi.

Le cause sono sconosciute ma di certo concorrono più fattori:

  • Predisposizione genetica (è legata alla presenza di mutazioni del locus PSORS1 sul cromosoma 6).
  • Particolari elementi scatenanti: stress psico-fisici, ustioni, infezioni, HIV, farmaci tra cui beta-bloccanti, interferone-alfa e corticosteroidi sistemici, consumo di alcol, obesità.
  • Attivazione del sistema immunitario tramite le cellule T.

Alcuni autori indicano l’aumento di permeabilità della mucosa intestinale legato alla disbiosi, con conseguente passaggio in circolo dei patogeni, come il fattore scatenante che causa l’infiammazione cronica.

Questo farebbe pensare quindi ad una possibile correlazione tra un’alterazione del microbiota e la comparsa della psoriasi.

Microbiota intestinale e psoriasi: cosa dicono gli studi?

Oggi sono disponibili diversi dati che indicano un legame tra il microbiota intestinale e la psoriasi:

  • L’85% dei pazienti colpiti da psoriasi (contro il 58% di soggetti sani) presenta qualche sintomo intestinale, soprattutto meteorismo o costipazione.
  • Il microbiota dei pazienti è differente da quello di soggetti sani, poiché si è notata una diminuzione della diversità globale delle specie. È da dire però che alcuni risultati sono apparsi ambigui tra gli studi:
  1. I pazienti mostrano aumento di Faecalibacterium, di generi Ruminococcaceae Bifidobacteriaceae, Lachnospiranaceae ma in alcuni studi Faecalibacteria e Bifidobacteriaceae sono in calo.
  2. I pazienti mostrano diminuzione del genere Bacteroides, di Prevotella, Lattobacilli, Streptococchi.
  • L’analisi genetica mostra anche una funzionalità alterata: si è visto un aumento dell’espressione di geni per il metabolismo dei carboidrati e diminuzione di proteine per il trasporto del ferro, della cobalamina, per la sintesi del glutatione e del butirrato.
  • La diminuzione di alcune Ruminococcaceae (Blautia e Coprococcus_1) è legato a miglioramento della psoriasi dopo terapia.

Ad oggi, sono pubblicati, a nostra conoscenza, solo 2 studi sui probiotici (Lactobacillus rhamnosus e Bifidobacterium infantis, lactis e longum) somministrati a pazienti con psoriasi. Entrambi mostrano globalmente ad un miglioramento, un contributo dei probiotici verso il ristabilirsi dell’equilibrio naturale.

Come si è visto, c’è ancora tanto lavoro da fare, ma la tematica è sicuramente importante. Ci sono molti pazienti, con sintomi più o meno gravi, che soffrono di un profondo disagio, anche dal punto di vista psicologico e per questo vanno aiutati.

Ad ogni modo, le premesse sono senz’altro buone e ricche di speranza.

L’analisi del microbiota e dei suoi effetti sulla psoriasi resta quindi un campo ancora aperto e da indagare.

Dr.ssa Federica Puccini

 

Bibliografia

  • Colucci R, Moretti S. Implication of human bacterial gut microbiota on immune-mediates and autoimmune dermatological diseases and their comorbidities: a narrative review. Dermatol Ther 2021;11:363-84
  • Polak K et al. Psoriasis and gut-microbiome-current state of the art. Int J Mol Sci 2021;22:4529
  • Sun C et al. Involvement of gut mcrobiota in the development of psoriasis vulgaris. Frontiers in Nutrition 2021;8:761978
Microbiota intestinale e Alopecia areata: gli studi scientifici

Microbiota intestinale e Alopecia areata: gli studi scientifici

L’ALOPECIA è un disturbo che può provocare un profondo disagio poiché comporta la perdita di capelli o peli in qualsiasi parte del corpo.

Può essere localizzata o diffusa ed è causata da un’alterazione del normale ciclo di vita del pelo/capello.

Di norma questo ciclo è composto da 3 fasi:

  • Anagen: è la fase di crescita e dura dai 2 ai 6 anni;
  • Catagen: è la fase di transizione che dura circa 3 settimane;
  • Telogen: è la fase di riposo, che dura dai 2 ai 3 mesi ed al termine si ha la normale caduta.

Ogni ciclo interessa circa 50-100 capelli al giorno e a, seguire, ricomincia finché un nuovo capello inizia la sua crescita nel follicolo.

In presenza di alopecia si hanno alterazioni a livello della fase Anagen (interruzione della crescita) o Telogen (numero superiore alla norma di capelli/peli che va in riposo e poi cade).

Che cosa scatena l’alopecia? 

 

Ecco le cause più comuni:

  • Alopecia androgenetica

Si tratta di una malattia ereditaria legata agli androgeni, che sono gli ormoni sessuali di natura steroidea, detti anche ormoni sessuali maschili.

In questa tipologia di alopecia si riscontrano elevati livelli di diidrotestosterone o un aumento di affinità per gli androgeni a livello dei follicoli.

La prevalenza di soggetti colpiti da alopecia androgenetica aumenta con l’età e colpisce oltre il 70% degli uomini e il 50% di tutte le donne di età superiore agli 80 anni.

  • Varie cause esterne

    – Farmaci (chemioterapici, ma anche anticoagulanti, contraccettivi orali, beta-bloccanti),
    – radioterapia,
    – ustioni,
    – stress fisici (gravidanza, interventi chirurgici),
    – carenza di ferro o zinco,
    – distiroidismo,
    – ipervitaminosi A.
  • Malattie concomitanti
     – Infezioni (Tinea capitis, follicolite, acne, siflide),
    – lupus cutaneo cronico,
    – sclerosi sistemica,
    – psoriasi.
  • Tricotillomania (autoprocurata)

Si tratta di un disturbo che comporta lo strapparsi dei peli/capelli in maniera ossessiva ed irrefrenabile.

  • Alopecia areata

È un disturbo infiammatorio del follicolo ad andamento recidivante, che tende cioè a ripresentarsi nel corso della vita, alternando momenti di mancanza dei peli/capelli a momenti di benessere in cui questi ricrescono spontaneamente.

Può presentarsi in egual misura in uomini e donne, in genere fino ai 60 anni, e può essere caratterizzata da una sensazione di prurito che a volte precede la caduta del capello.

L’alopecia aerata viene classificata in base alla distribuzione delle chiazze glabre:

  • Multilocularis o monolocularis, se ci sono zone multiple o un’unica chiazza del cuoio capelluto;
  • Totale, se coinvolge tutto il cuoio capelluto;
  • Universale, se interessa anche ciglia, sopracciglia, ascelle, pube;
  • Ophiasis, se coinvolge delle zone periferiche del cuoio capelluto.

L’Alopecia areata (AA) è una condizione multifattoriale, nella quale gioca un ruolo importante la componente autoimmune, nella quale le cellule del sistema immunitario attaccano il follicolo pilifero. In particolare, l’alopecia areata può essere causata da:

  • altre patologie autoimmuni (la tiroidite, il lupus eritematoso sistemico, la dermatite atopica, la celiachia);
  • la propria genetica;
  • una condizione ambientale (stress, traumi, carenze nutrizionali).

Cosa c’entra il microbiota con l’alopecia areata?

 

È ormai noto che il microbiota è legato all’equilibrio del sistema immunitario.

Una flora batterica sana, durante la vita, collabora attivamente ad uno sviluppo corretto dei nostri sistemi di difesa:

– a livello locale (intestinale);

– a livello sistemico (come ad esempio, asse intestino-cervelloVedi anche: “Il microbiota e il suo ruolo nelle malattie neurodegenerative”; asse intestino-polmoni Vedi anche:”Un microbiota sano aiuta anche i polmoni”).

Evita così reazioni inappropriate (come le allergie e le malattie autoimmuni) e aiuta a mantenere sempre un buon livello di guardia.

Per questo i ricercatori hanno indagato se il microbiota intestinale avesse qualche legame anche con l’alopecia areata.

-> Ci sono effettivamente dei report di pazienti con malattia infiammatoria intestinale ed alopecia aerata resistente ai trattamenti, che dopo il trapianto fecale di microbiota per infezione da Clostridium difficile o diarrea hanno avuto la ricrescita dei capelli.

-> Un gruppo di bambini-adolescenti affetti da alopecia aerata ed i loro fratelli non colpiti sono stati analizzati circa la composizione del microbiota intestinale. I risultati hanno mostrato una differenza di microbiota per numero di specie presenti, sebbene i ricercatori non hanno identificato ancora di quali specie si possa trattare (analisi solo quantitativa).

-> Alcuni ricercatori hanno poi analizzato il microbiota di adulti affetti da alopecia universale e adulti sani.

I gruppi hanno mostrato lo stesso numero di specie presenti, ma il microbiota dei pazienti era più ricco in Holdemania filiformis, Erysipelotrichacea, Lachnospiraceae, Parabacteroides johnsonii, Bacteroides eggerthii, Clostridiales vadin BB60 group and Parabacteroides distasonis.

In particolare è stata notata una correlazione tra la numerosità degli ultimi due ceppi e lo stato di malattia nell’80% dei casi.  Di conseguenza, i ricercatori ipotizzano che tali ceppi potrebbero essere utilizzati come biomarkers.

  • Analogamente, uno studio cinese ha confrontato adulti affetti da alopecia aerata e controlli sani: sebbene non siano state trovate differenze significative nel numero di specie presenti (complessità del microbiota) sono state rilevate differenze nel tipo di ceppi presenti.

Possiamo concludere da questo, che c’è ancora molta strada da fare prima di trarre delle conclusioni, ma il ruolo del microbiota sembra comunque interessante come sempre.

Infatti, per godere di buona salute e proteggersi il più possibile, è importante prendersi cura della propria dieta, dello stile di vita, ma anche del microbiota.

Nei casi in cui un’integrazione risulti necessaria, però, non bastano dei normali “fermenti lattici” a ripristinare il corretto equilibrio.

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Bibliografia:

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